“Hollywood“, ideato, scritto e prodotto da Ryan Murphy, è il nuovo progetto firmato Netflix.
La miniserie, ambientata ad Hollywood nella seconda metà degli anni ’40, prende spunto da fatti realmente accaduti e li colora per creare un finale inaspettato.
Murphy, come già noto dai suoi precedenti lavori, primo fra tutti “Glee”, è solito dare voce alle minoranze, e anche in questo caso ha creato un mondo in cui proprio gli emarginati alla ribalta possono diventare i protagonisti.
Il primo personaggio che incontriamo è Jack Castello, un giovane ragazzo trasferitosi da poco a Los Angeles con la moglie in dolce attesa; ricco di sogni ma a corto di denaro si ritrova costretto a lavorare da Ernie, ufficialmente come benzinaio, in realtà come gigolò per le grandi star della città, la cui vita è segnata da una grande solitudine e una moltitudine di menzogne ed ipocrisie.
Per Jack il lavoro si dimostra un ottimo modo per fare amicizie importanti, e quindi un trampolino di lancio che lo porta all’interno degli ACE studios, la casa di produzione cinematografica più importante di Hollywood. Proprio qui la sua storia si intreccia a quella degli altri personaggi: Archie, uno sceneggiatore di colore, Raymond, regista per metà filippino, Rock Hudson, attore omosessuale, Camille, una giovane attrice afroamericana e infine Dick Samuels, brillante produttore che per primo scommette nelle loro potenzialità.
Il gruppo sta preparando un film, “Peg”, la storia – vera – di una giovane attrice suicidatasi gettandosi dalla monumentale H che compone la scritta Hollywood sul Monte Lee.

Molti di questi personaggi sono realmente esistiti, come Rock Hudson, pseudonimo di Roy Harold Scherer Jr , uno dei primi attori famosi a morire di AIDS nel 1985; Henry Wilson, nella serie interpretato da Jim Parsons, agente e “star maker” caduto in solitudine e dipendenze da alcol e droga quando la sua omosessualità è diventata pubblica; Hattie McDaniel, la prima donna afroamericana a vincere l’Oscar come miglior attrice non protagonista per il film “Via col vento”, nel 1940; e ancora possiamo trovare il riferimento a Scotty Bowers, il benzinaio che divenne il gigolò più amato dalle star di Hollywood, sia donne che uomini. In un episodio si fa riferimento anche alle feste, non proprio legali, organizzate dal regista George Cukor, gli unici momenti in cui attori famosi e personaggi del dietro le quinte del cinema avevano la possibilità di vivere la loro sessualità liberamente.
Non tutto però è ispirato a fatti realmente accaduti: per decenni ad Hollywood fu vietato parlare esplicitamente di coppie omosessuali nei film, dove spesso venivano ritratti come personaggi perversi e depravati, così come dettato dal famoso Codice Hays; infine, per vedere la prima afroamericana vincere l’Oscar come miglior attrice protagonista bisognerà aspettare Halle Berry, nel 2002, per il film “Monster’s Balls”.
La serie, con una punta di ottimismo, vuole raccontarci un’altra storia di Hollywood, una storia in cui, grazie alla spinta di un gruppo di appassionati e lungimiranti artisti, omofobia, razzismo, discriminazioni e abusi venivano abbandonati già 70 anni fa.
Marta Fornacini