Chi è Geralt di Rivia: la serie Netflix che fa incontrare i fan di Sapkowski con i videogiocatori di The Witcher

Gli uomini amano inventare mostri e mostruosità. Così hanno l’impressione di essere loro stessi meno mostruosi. Quando bevono come spugne, imbrogliano, rubano, picchiano le donne con le briglie, fanno morire di fame la vecchia nonna, colpiscono con la scure una volpe presa in trappola o riempiono di frecce l’ultimo unicorno rimasto sulla terra, amano pensare che più mostruosa di loro c’è sempre la Mora che s’intrufola nelle casupole all’alba. Allora si sentono in qualche modo il cuore più leggero. E trovano più facile vivere.

[Il guardiano degli innocenti]

The Witcher, recentissima produzione Netflix rilasciata il 20 dicembre sulla piattaforma, si basa sulla saga fantasy ideata dal polacco Andrzej Sapkowski e sembra farsi strada per essere una delle serie più discusse dell’anno.
In una magica ambientazione rurale e antica, in un mondo popolato da umani, elfi e mostri, tra i vari mestieri spicca quello dello strigo (nella serie, il misteriosamente non-tradotto witcher) che si occupa di uccidere mostri sotto compenso: si tratta di un sicario cui è stato impartito un duro addestramento fin dall’infanzia, subendo anche mutazioni genetiche per rendere le sue prestazioni più performanti e quindi in grado di fronteggiare qualsivoglia minaccia. Geralt di Rivia, il protagonista di questa splendida saga, è un cinico e laconico strigo, che combatte costantemente tra il proprio codice morale (in parte derivante dal proprio mestiere) e la ripugnanza che prova nei confronti di se stesso.

«Borch, vorrei mettere subito le cose in chiaro tra noi. Sono uno strigo.»
«L’avevo supposto. Ma hai usato un tono come se dicessi: ‘Sono un lebbroso’.»
«C’è chi preferisce la compagnia dei lebbrosi a quella di uno strigo.»
«C’è anche chi preferisce le pecore alle ragazze», ribatté Tre Taccole con una risata. «Ebbene, c’è solo da compatirli, gli uni e gli altri. Rinnovo la proposta.»

[La spada del destino]

Tra mostri, magia, intrecci e destino, Sapkowski nella trama di The Witcher non lascia deluso nessuno, in quanto la brillante rivisitazione delle fiabe e di molti luoghi comuni fa sorridere e riflettere, riscontrando un’originalità di trama non trascurabile, unita a dei personaggi che è inevitabile sentire vicini, anche e innanzitutto perchè hanno una marea di difetti che li rendono veri, profondi e sfaccettati.

E la serie Netflix?
La prima stagione, costituita da 8 episodi, dimostra una particolare cura dell’ambientazione e dei costumi, combattimenti con le spade molto coinvolgenti e ottimi effetti speciali, che si rendono necessari per le numerose scene sovrannaturali magiche e anche per la grafica dei vari mostri che vengono incontrati sul cammino dai protagonisti. Meno convincente la trasposizione della trama, che in un intreccio di linee temporali non immediatamente chiare allo spettatore senza un background della trama dei libri, risulta inintelligibile e confusionaria, presentando personaggi troppo in fretta ed effettuando salti temporali notevoli tra un episodio e l’altro. Inoltre, da lettrice e conoscitrice della saga, mi duole constatare che la vena ironica delle situazioni proposte e dei personaggi è flebile, se non inesistente, sacrificata per un maggiore effetto scenico. I personaggi, inoltre, rispettano poco la caratterizzazione originaria, sebbene la singola interpretazione da parte degli attori sia pregevole.

Un disastro? No, ma con riserva. Sicuramente il prodotto studiato com’è adesso soddisfa maggiormente i giocatori dell’omonimo videogioco, piuttosto che i lettori della saga. Al contempo, i novizi di questo mondo potrebbero restarne affascinati, per quanto comunque un po’ confusi.

«Ora capisci che cos’è la neutralità che tanto ti sconvolge? Essere neutrali non significa essere indifferenti e insensibili. Non bisogna uccidere i sentimenti dentro di sé. È sufficiente annientare l’odio.»

[Il battesimo del fuoco]

Veronica Repetti

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