“Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono cristiana”. Chi in questi giorni non ha sentito ovunque questo slogan, trasmesso in tutte le sue varianti?
In meno di una settimana la cosiddetta “Giorgia Meloni Challenge” è diventato un fenomeno virale, i social ne sono stati invasi e anche chi non è tra gli utenti ne è venuto a conoscenza.
Quello che doveva essere parte di un comizio si è rivelato l’ennesimo tentativo di ottenere un facile consenso, attraverso l’evidenziazione di aspetti della società per molti ritenuti a rischio. Non a caso vengono posti in evidenza termini che riportano a sfere identitarie e famigliari, con un’attenzione particolare nel creare una condizione di vicinanza tra colei che a tutti gli effetti è una leader politica e i suoi elettori. L’Onorevole Meloni cita se stessa, utilizzando il nome proprio: l’intenzione è quella di accorciare le distanza tra lei che parla da sopra un palco e chi invece dalla platea la ascolta, quasi a voler dire “sono una di voi” e come se ormai al momento del voto la persona valesse più delle sue idee.
Un femminismo, si può dire, di convenienza. Il suo status di madre e il suo orientamento religioso diventano i punti cardine su cui guadagnare supporto.
“È chiaro che quando lei nomina il crocifisso e il presepe, e lo dico da cristiana, non fa riferimento a dei valori evangelici ma a dei marcatori culturali che lei usa come dei corpi contundenti.
Questa è una donna che nella sua vita personale ha fatto delle scelte che certamente non sono congruenti con l’idea di famiglia cristiana che lei sembra voler difendere. Non gliene chiedo conto, credo che ognuno debba essere libero di vivere la vita come vuole, ma quando tu vuoi imporre agli altri un modello di vita che tu stessa non rispetti capisci che un po’ il cortocircuito si sente..”
Michela Murgia
Come tutti i fenomeni nati dal web e diventati virali, anche questo non sarà un’eccezione e avrà vita breve. È già però durato sufficientemente a lungo per far sì che la stessa Giorgia Meloni cavalcasse l’onda, così da far crescere nei sondaggi il suo stesso partito. Infatti, anche chi – pur non condividendo un messaggio chiaramente xenofobo e discriminatorio del genere – considera tutto ciò semplicemente ridicolo e divertente, inevitabilmente ne incrementa la diffusione e la potenza mediatica (“There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about”, ovvero parafrasando “nel bene o nel male, purché se ne parli”).
Tra tutti i remix, video montaggi e meme, quello che sicuramente ha avuto più risonanza è stato il brano prodotto da Mem & J (ormai hit a tutti gli effetti). Testimonianza anche dell’ormai diffusa tecnica di volgere a proprio vantaggio situazioni del genere, anziché difendersi da “sfottò” virali.
Una delle tante possibili interpretazioni di fenomeni di questo genere è sicuramente la testimonianza che al giorno d’oggi l’elettorato risulta essere più coinvolto da un messaggio immediato e instagrammabile rispetto a un’analisi più profonda di temi caldi che non meriterebbero l’inevitabile superficialità di 140 caratteri.
Valentina Rosselli