Ormai da oltre un mese, il nuovo film dell’immortale saga di Star Wars ha raggiunto le sale.
Rogue One: A Star Wars Story, questo il titolo completo, è un film innovativo sia per la saga che per il mondo del cinema in generale.
Innovativo perché per la prima volta nella saga uno spin-off colma una serie di domande lasciate aperte dal primo, storico film, sviluppandone l’antefatto.
Innovativo nel suo mostrarsi sotto un’altra lente, mettendo da parte la morale bianco/nera molto netta, tipica dei film precedenti, sostituendola con una scala di grigi molto più congeniale alla guerra che imperversa nella galassia.

Guerre Stellari, paradossalmente, di guerra ne ha mostrata relativamente poca, spesso relegandola a mero sfondo delle vicende con la formula ultra-collaudata di una grande battaglia nel finale, come climax dell’avventura. Ora la guerra arriva dalla prima scena, arriva con un carico di scelte difficili, con volti sporchi e laserate in faccia, e non c’è nessun jedi a salvare la situazione. Si, c’è un monaco che crede nella forza e mena come un fabbro, ma non salva la situazione da solo, e se non avesse altri al suo fianco non avrebbe possibilità contro le truppe imperiali, figuriamoci in un duello contro uno dei classici “cattivi” a cui Star Wars ci ha abituato. Il vero successo è questo: fare della vicenda un “trionfo dei normali”, che portano una speranza in una galassia sull’orlo delle tenebre.
In generale gli “eroici” ribelli hanno un aspetto e metodi che sembrano usciti dai teatri di guerra mediorientali e dal Vietnam: disperati variegati che sfruttano qualsiasi stratagemma pur di portare avanti la loro guerriglia. E i malvagi imperiali non sono da meno, con i loro campi di lavoro e altre idee tipiche di un governo totalitario.

Il film è innovativo nel suo continuare a elevare i livelli del realismo ottenibile col CGI, un effetto spaventosamente convincente nel riportare su schermo attori morti o invecchiati, con l’aspetto che avevano nel 1977. Un occhio attento riconoscerà il trucco, ma il giusto uso dei giochi di luce e delle inquadrature permette a queste figure di reggere bene apparizioni di vari minuti. Il dibattito su come questa nuova tecnica arriverà a cambiare il modo di fare cinema è già incandescente. Una questione morale, tanto quanto pratica o stilistica. Peter Cushing è morto nel 1994 e ci si domanda se sia eticamente corretto riportarlo in scena a questo modo. Cosa avrebbe detto? Purtroppo non potremo mai saperlo.
Il fanservice, sotto forma di citazioni varie a tutta la saga è molto presente e chiunque abbia visto la trilogia classica noterà i rimandi al posto giusto per ricollegare la trama. Ma non è certo l’anima portante di tutta l’opera, né di un manierismo fine a se stesso. Si tratta perlopiù di un piacevole valore aggiunto, senza il quale la pellicola si regge comunque bene sulle sue gambe, dimostrando di meritare il suo successo.
Mauro Antonio Corrado Auditore