Tre progetti fotografici, tre (quattro, in realtà) punti di vista, ma stesso mezzo e stesso paese da raccontare: la macchina fotografica che incontra l’India. Tutto questo a portata di click, giusto il tempo di concedersi un viaggio virtuale lontano dalla propria scrivania in disordine da vero studente in sessione estiva.
Arjun Kamath e il suo “Avani”
Progetto di uno studente di fotografia di Los Angeles che, appena iniziato l’anno, ha caricato sulla sua pagina Facebook un fotoromanzo dalle tinte indiane di sua creazione. È la storia di una ragazza, Avani, in lotta con le leggi del suo villaggio: immagini cruente di coraggio e di amore. Nell’ultima foto, poi, conclude il suo lavoro con una semplice frase: we were all created equal. Insieme al messaggio profondo lanciato attraverso la storia, è impossibile non rimanere affascinati dai colori delle stupende foto, che potete trovare sulla sua pagina Facebook Arjun Kamath.
Akshatha Shetty, Piyush Goswami e “Rest Of My Family”
Un viaggio on the road per l’India che mette in mostra, attraverso le immagini e le parole, i problemi e le necessità della zone più povere e lontane dalle scene di Bollywood. Per i due giovani autori delle foto, tutta l’umanità è un’unica grande famiglia che ha perso il contatto con l’altro, perché troppo incentrato sul “mio”. Il loro progetto è articolato in quattro fasi: il viaggio, durante il quale raccolgono la documentazione e richiamamo l’attenzione su temi delicati; il supporto concreto alle comunità e alle persone che incontrano durante il viaggio; il racconto del viaggio giorno per giorno e in modo onesto, attraverso foto, video e parole; infine, la pubblicazione di un libro che racconti della loro esperienza. Per finanziare il loro progetto hanno istituito una campagna di crowfounding online, che ha già ottenuto un buon successo e che potete trovare qui. Il viaggio è iniziato da non molto e potete seguirlo sulla pagina Facebook Rest Of My Family.
Trupa Pandya e gli ultimi cacciatori di teste
La tribù dei Konyak è una realtà quasi estinta, tra l’India e il Myanmar. Per loro tagliare la testa dei nemici era considerato un prezioso rito di passaggio per diventare uomini e i tatuaggi erano il simbolo dei successi raggiunti. Le maggior parte delle pratiche di questo gruppo sono state vietate ufficialmente dal governo nel 1940. Ora, al posto delle teste dei nemici appese ai muri delle abitazioni, ci sono quelle degli animali che cacciano. Sono rimasti pochi anziani conoscitori delle antiche tradizioni, pochi abitano ancora i villaggi originari con degli adeguamenti alla vita moderna e la maggior parte dei giovani parte a lavorare e vivere altrove. Prima che questi scompaiano, però, il fotografo Trupa Pandya li ha raggiunti e le sue foto si possono trovare sul suo sito web alla voce “Head Hunters”.
Emilia Scarnera