Petronio e Seneca: due personaggi straordinari vissuti sotto il governo autoritario e sregolato di Nerone.
Entrambi ricevettero dall’imperatore l’ordine di suicidarsi in seguito alla scoperta della congiura dei Pisoni nel 65 d.c., nella quale furono ritenuti implicati.
Seneca ricoprì un ruolo importante nell’educazione di Nerone; filosofo storico, maestro di morale e di buon governo, in seguito al suo insuccesso politico divenne scomodo all’imperatore, che lo condannò.
Seneca, imitando Socrate, scelse per la sua morte un simposio condiviso con i discepoli e gli amici, in cui si recise i polsi e morì nobilmente discorrendo su precetti filosofici dell’amor fati, cercando di consolare gli altri per la sua morte.
Petronio fu descritto da Tacito negli Annales come un dandy, genio della raffinatezza e dell’eleganza. Venne persino nominato arbiter elegantiarum della corte di Nerone. Infine venne screditato dal prefetto pretorio, forse invidioso del suo successo.
Completamente rovesciata rispetto a quella di Seneca, fu la morte di Petronio, che non scelse di morire come un filosofo ma, come in tutta la sua vita, con raffinatezza.
Anche lui morì durante un banchetto: mentre discuteva di argomenti frivoli, lascivi e scherzosi, si ledeva le vene e le richiudeva come se stesse giocando con la morte.
Il misto di estetismo e di ironia beffarda che lo avevano caratterizzato in vita, vengono riproposti persino alla sua morte. Petronio si rifiutò di adulare l’imperatore e, al contrario, scrisse e gli inviò una lettera in cui faceva l’elenco delle turpitudini e dei nomi delle amanti (e degli amanti) dell’imperatore.
Gian Biagio Conte scrive “Il signore della parodia letteraria potrebbe aver gestito la sua morte come una parodia”.
Due personaggi interessanti, anche se in antitesi, che non rinnegarono mai il loro stile di vita e le loro convinzioni, affrontando la morte proprio come affrontarono la loro vita.
Cecilia Nebosi